Le linee guida da noi applicate nella terapia della prostatite cronica/sindrome cronica dolorosa del pavimento pelvico sono la logica conseguenza delle conoscenze esposte nei capitoli precedenti. Partiamo dal concetto che ci sono fondamentalmente quattro categorie di pazienti che però lamentano più o meno tutti gli stessi sintomi. Ricordiamoci che queste categorie non sono sempre così ben distinguibili e talvolta una categoria passa insensibilmente in un altra o uno stesso paziente può appartenere a una o più categorie. Pertanto sta alla nostra esperienza sapere quale terapia applicare.
Le quattro categorie di pazienti sono:
1) Pazienti con prostatite acuta in atto. E’ una categoria rara, ma ben individuabile per l’associazione di componenti sintomatologiche precise quali febbre, dolore perineale, difficoltà minzionali e spesso una facile associazione mnemonica “causa-effetto” (es. recente rapporto sessuale a rischio).
2) Pazienti con la presenza di una vera infezione prostato-vescicolare cronica. Per mia attuale esperienza questi sono i pazienti statisticamente meno frequenti. Ricordiamoci comunque che la individuazione di batteri quali la Chlamydia, Ureaplasmi, Micoplasmi Gonococco o di Virus (HPV) nel secreto prostatico o nel tampone uretrale, è praticamente impossibile con colture o esami a fresco, mentre è possibile con l’amplificazione qualitativa dei loro DNA con tecnica PCR. Ricordiamoci inoltre che il dosaggio sierico di anticorpi anti Chlamydia, se assenti non escludono la presenza del microorganismo. Durante la malattia, la prostata da una parte cerca di circoscrivere l’infezione inglobandola in una cintura polisaccaridica e dall’altra alcuni microorganismi quali la Chlamydia provocano loro stessi la formazione dei cosiddetti “biofilms batterici”. Queste situazioni rendono le aree cronicamente infette, scarsamente penetrabili da parte degli antibiotici somministrati per via sistemica (per os o i.m.). Inoltre, in questi soggetti la prostatite batterica talvolta si complica con una situazione di autoimmunità. Nel sangue di questi pazienti si possono rilevare (Alexander 1997) la presenza di cellule T, reattive alle normali proteine prostatiche. Il dosaggio delle Citokine (IL2-IL6-TNFalfa ) nello sperma documenta spesso valori molto più elevati che nei soggetti normali.
3) Pazienti nei quali la pregressa prostatite è evoluta in una situazione di spasmo del pavimento perineale e di infiammazione dei nervi pudendi. Questi sono i pazienti più frequenti.
4) Pazienti i cui sintomi sono conseguenti ad alterazioni anatomiche del collo della vescica (sclerosi) o dell’uretra (stenosi, malformazioni ecc.). In questi casi la terapia deve necessariamente passare per un tempo chirurgico.
Terapia della Prostatite
1) Nei pazienti appartenenti alla prima categoria, una volta individuato l’agente infettante, la terapia antibiotica idonea deve essere eseguita per cicli di almeno 10 giorni. Nella fase acuta sono spesso da associare cortisonici e antidolorifici. In presenza di un eventuale ascesso prostatico (evenienza non rara in questi soggetti), l’area ascessuale andrà, sotto guida ecografica, drenata e sterilizzata.
2) Nei pazienti appartenenti alla seconda categoria i cicli terapeutici per via sistemica devono essere necessariamente molto lunghi e con l’utilizzo di diversi antibiotici. Dopo l’esecuzione di cicli terapeutici sistemici ripetuti, seguiti da continue ricadute e in presenza di quadri ecografici di fibrosi o fibrocalcificazioni intraprostatiche, bisogna inquadrare la malattia come cronicizzata e bisogna interpretare le aree di fibrosi come nidi batterici non sterilizzabili. In questi casi, e solamente in questi, si deve considerare l’ipotesi di portare nell’interno della prostata, sotto guida ecografica, specificamente all’interno delle aree di infiammazione o all’interno di eventuali fibrocalcificazioni, un cocktail di antibiotici a ph acido, battericidi, per la più larga parte degli agenti microbici causa delle prostatiti, associato ad un potente antiinfiammatorio come il cortisone che agisca sull’edema dei canalicoli e degli acini prostatici ristabilendo il regolare deflusso del loro secreto ed interrompa, qualora presente, un eventuale meccanismo autoimmunitario. Nella nostra pratica clinica, ai farmaci su esposti, per migliorare la loro penetrazione nelle aree fibrocalcifiche, aggiungiamo anche una sostanza chelante il calcio (EDTA) con l’intento di aumentare la dissoluzione dei legami chimici che tengono le molecole di calcio adese fra di loro.
3) Per i pazienti della terza categoria, ovviamente, la terapia antibiotica oltre che inutile, può essere considerata dannosa in quanto, piuttosto che curare, diminuirà le difese immunitarie e potrà alterare la flora batterica intestinale e cutanea, portando spesso a sovrainfezioni di tipo micotico. Purtuttavia è esperienza comune che talvolta una terapia antibiotica dà in ogni caso un sollievo alla sintomatologia acuta. Questo miglioramento, interpretato da molti pazienti come la prova provata della loro infezione, è invece di solito dovuto all’effetto antiinfiammatorio legato ad alcuni antibiotici (specificamente i Chinolonici quali Ciproxin, Levoxacin ecc.). La dimostrazione di questo asserto è purtroppo l’immediato ritorno ai sintomi iniziali dopo breve tempo dalla sospensione di questa terapia.
La terapia invece si baserà sull’utilizzo di associazioni di farmaci con capacità di attuare una specifica despasmizzazione del pavimento pelvico, quali il BACLOFENE, le BENZODIAZEPINE A EFFETTO NON IPNOTICO, le CREME A BASE DI NIFEDIPINA, i CLISTERINI CORTISONICI. Saranno inoltre da usare tutti quei “devices” meccanici che aiutano la despasmizzazione dello sfintere anale, quali i CONI DILATAN.
Inoltre, l’accurata esplorazione sia esterna che transrettale del pavimento pelvico, ci farà sempre individuare i cosiddetti “trigger points”, cioè punti di accumulo spastico del dolore. Questi punti devono essere trattati con estremo beneficio, seguendo le indicazioni date da David Wise nel suo famoso Protocollo di Stanford. Il trattamento di questi punti, ancorché molto semplice, non può essere di solito autogestito, e pertanto sarà molto utile, avere un partner disponibile ad effettuare una digito terapia. Ricordiamoci che spessissimo stiamo trattando una patologia con un inizio occulto o manifesto risalente a mesi o anni. Pertanto, pur se i primi risultati saranno di solito quasi immediati, la guarigione o, meglio, la capacità di gestire la situazione, necessiterà di alcuni mesi di terapia.
In questa ottica è molto importante anche l’attenzione alla dieta. Devo dire che più o meno tutti i pazienti nel tempo riconoscono i cibi o le bevande “proibite”. Questi sono raggruppabili in quattro gruppi, con effetti per vari versi negativi:
- spezie varie quali pepe, peperoncino, paprika, curry ecc.
- cibi acidi o con capacità acidificanti quali aceto, sottaceti, agrumi, frutti di bosco, cioccolata ecc.
- alcolici e superalcolici. In questa ottica anche la birra per molti soggetti è deleteria.
- bevande eccitanti (es. RedBull) o eccitanti in genere (dal caffè in su!).
4) Nella quarta categoria per i pazienti, la cui causa dei loro sintomi sia legata a sclerosi del collo della vescica, somministriamo in via provvisoria cicli con farmaci Alfalitici. L’eventuale notevole miglioramento dei sintomi sarà un’indicazione probante per l’esecuzione di un intervento chirurgico disostruttivo (TUIP).
In presenza invece di stenosi uretrali, l’unico trattamento eseguibile e consigliabile, a seconda della gravità dell’ostruzione, sarà l’uretrotomia, l’uretroplastica o il trattamento con il nuovissimo device Optilume che produce una dilatazione dell'uretra attraverso la distensione intrauretrale di un palloncino le cui pareti sono inbevute di un chemioterapico che si oppone alla riformazione della stenosi.